La storia delle carte da gioco

La storia delle carte da gioco ha ancora molti punti oscuri. Sui testi si trovano molte ipotesi, alcune credibili altre meno, ma documenti incontestabili sulla loro origine e su come sono arrivate sino a noi non ne sono stati ancora trovati.

Oltre agli occultisti gli unici certi dell'origine di questo passatempo furono i ministri di culto, convinti che le avesse inventate il demonio e perciò pronti a bandirne l'uso in ogni modo, con roghi, anatemi e maledizioni, come si vede in questa stampa tedesca del XV secolo

che raffigura Giovanni da Capestrano (1386-1456), un monaco francescano assurto agli onori degli altari anche per questo suo zelante impegno, che mette al rogo carte e altri giochi.

Si nota tra i combustibili che il pio popolo porta al santo, oltre alle carte in primo piano, anche il tric trac o tavola reale, antico gioco diffuso in tutta l'area mediterranea, oggi chiamato backgammon. In un libro1 si afferma che a Norimberga nel 1452 furono portati in piazza e bruciati 40000 dadi, 3640 tavole da backgammon e innumerevoli mazzi di carte da gioco. Anche Bernardino da Siena (1380-1444), francescano pure lui e pure lui santo, si distinse in pire di cose futili in modo che la gente potesse pregare e lavorare, senza perdere tempo a divertirsi come ogni tanto si permetteva. Fu lui probabilmente il primo ad affermare che le carte da gioco erano un'invenzione del demonio, rendendo noto il fatto in un sermone del 14232. Questo sermone, che condannava i participes ex naibus, seu charticellis, de quibus innumerabilia mala egredientur (giocatori di naibi o carte dai quali provengono mali innumerevoli), fu pronunciato nella chiesa di san Petronio a Bologna e cita un mazzo da 56 carte comprendente anche la donna tra le figure3.

William Andrew ChattoWilliam Andrew ChattoRivelatrice del pensiero dell'epoca un'ordinanza del vescovo di Parigi che il 22 gennaio 1397 vietava, ma solo a chi doveva lavorare per vivere, di giocare a palla, a carte e a birilli nei giorni lavorativi4 che all'epoca, per il popolo, erano veramente tanti. Libero invece chi li sfruttava e viveva alle loro spalle di divertirsi quanto voleva, visto che, non lavorando, il poverino si sarebbe altrimenti annoiato a morte. Ancora nel 16275 un predicatore inglese distribuiva un opuscolo in cui spiegava ai fedeli che quando si leggeva la Bibbia gli uomini portavano speroni e armi mentre in quel periodo, visto che avevano sostituito il sacro libro con dadi e carte da gioco, portavano nastri e scarpette ornate e invece di Marte onoravano Bacco e tabacco... speriamo che non si siano dimenticati di Venere.

Siccome non abbiamo trovato documenti ufficiali in merito né rivendicazioni da parte dell'interessato, non possiamo attribuire con certezza ai vari Lucifero, Satana, Astarotte o Belzebù l'invenzione delle carte da gioco. Se proprio è stato il principe delle tenebre a inventarle significa che, contrariamente a quanto comunemente affermato, qualcosa di buono ha fatto anche lui. Perdonate la divagazione e la difesa d'ufficio del diavolo, ma pensiamo che in questo caso sia lui il calunniato, contrariamente all'origine del suo nome, che viene dal greco diabolós (calunniatore). Se fosse veramente lui l'inventore delle carte da gioco ne avrebbe proclamato ad alta voce la paternità, almeno per esigere le royalties sulla sua creazione.

Sulla storia delle carte da gioco sono stati scritti moltissimi libri, che non sono però mai riusciti a chiarirne indiscutibilmente l'origine. L'argomento ha interessato numerosi autori sin dal 1704 quando Père F. C. Menestrier, un fabbricante di carte di Lyon in Francia, scrisse la Bibliothèque curieuse, probabilmente il primo libro sulla storia della carte da gioco.

Tanto per non smentire la nostra fama di presuntuosi, tentiamo con questa pubblicazione di dare anche noi un piccolo contributo alla questione.

Come gli spaghetti e i fuochi d'artificio anche la carta e la stampa a caratteri mobili sono nate in Cina. La carta fu inventata dall'eunuco Ts'ai Lun, gran dignitario di corte, che presentò all'imperatore nel 105 d.C. i primi fogli di questa materia, mentre il più antico libro che si conosca è un Sutra buddista, un rotolo di quasi cinque metri con scritture sacre stampato da Wang Chien nell'868, attualmente conservato a Londra nel British Museum. La stampa a caratteri mobili risale al 1041, usando matrici in terracotta o stagno per gli innumerevoli caratteri cinesi. L'invenzione però non sembra aver riscosso molto successo e solo nel 1300 circa, usando matrici in legno, la stampa a caratteri mobili prese piede nel Celeste impero.

Inventata la stampa, i cinesi usarono questa novità anche per assecondare la loro passione per i giochi, soprattutto per quelli d'azzardo. Secondo un testo cinese dell'XI secolo, intitolato Kuei-t'ien-lu e scritto dallo storico Ou-yang, le carte per il domino potrebbero risalire alla dinastia T'ang, che regnò dal 608 al 908. Si narra che le carte potrebbero essere nate nell'harem dell'imperatore Huey Song, come svago per le numerose mogli e concubine che passavano le loro interminabili giornate spettegolando e litigando tra di loro. Stufo del loro comportamento il sovrano incaricò un cortigiano di inventare un passatempo che le tenesse occupate. Così forse nacquero le carte da gioco, nella seconda metà dell'VIII secolo; uscirono presto dall'harem per entrare nelle case del mondo intero, diventando a loro volta fonte di discussioni e alterchi e il tavolo da gioco continuò a restare una fonte inesauribile di pettegolezzi.

Carta cinese del XIV secolo

La carta da gioco più antica finora ritrovata6 è conservata allo Staatliches Museum für Volkerkunde (Museo nazionale di etnologia) di Berlino. Fu scoperta nel 1905 da Albert von Le Coq a Tourfan, nella provincia cinese del Xinjiang, insieme a frammenti di manoscritti dell'epoca Uigur. È un Fiore rosso, una carta del mazzo a 3 semi derivato da monete. Fino a pochi anni questa carta fa era ritenuta dell'XI secolo; studi più recenti tendono però ad attribuirla al XIV secolo7. Queste carte portano lo stesso disegno che aveva anticamente in Cina la cartamoneta, inventata anche questa durante la dinastia T'ang. Sono utilizzate per giocare ancora oggi con una rappresentazione grafica pressoché invariata nei secoli, come si può vedere nella seconda figura.

Questo per le prime carte cinesi, di cui si hanno notizie documentate. Sull'origine cinese delle carte è reperibile in internet un articolo risalente al 18958.

In Europa la carta fu portata dagli arabi in Spagna nel IX secolo, famose le grandi manifatture a Xativa-lés-Valence, mentre in Italia le prime notizie riguardano Fabiano, nelle Marche, e risalgono al 1276.

Per quanto riguarda i libri sin dal medioevo erano stampati i libri cosiddetti tabellari o xilografici, dove ogni pagina era ottenuta da una matrice incisa in un unico blocco di legno, lo stesso metodo con cui per secoli si stamparono le carte da gioco. Per conoscere la stampa a caratteri mobili si dovrà però attendere un tipografo tedesco, Johann Gensfleisch von Gutenberg (Mainz 1397-1468). Solo con la sua invenzione la stampa dei libri diverrà economica al punto da permetterne una vasta diffusione. Le carte da gioco continuarono ad essere prodotte con matrici lignee per parecchio tempo, tanto che ancora alla fine del XIX secolo alcuni piccoli stampatori utilizzavano questo sistema, nonostante fossero ormai diffusi metodi più moderni.

La nascita delle carte da gioco in Europa è ancora avvolta dal mistero, senza un'origine inequivocabile né date certe. Questo è dovuto al fatto che gli storici non le hanno citate nei loro ponderosi trattati, ritenendole per niente interessanti in quanto oggetto solo di divertimento, mentre la storia ufficiale è fatta quasi unicamente di guerre e di conquiste. Nessun mazzo del periodo in cui le carte hanno raggiunto l'Europa sembra essersi conservato. Questo perché le carte da gioco sono molto deperibili; si usano senza precauzioni, l'utilizzo le rovina notevolmente ed è sempre possibile perderne qualcuna. In un mazzo di carte troppo usato diviene abbastanza agevole riconoscere le singole carte, da qualche macchia o piega particolare o qualche angolo rovinato. Questo ne pregiudica l'utilizzo, visto che l'avversario può conoscere che carte abbiamo in mano osservandone i difetti del retro o dei bordi. Dato che è un prodotto di valore non elevato si tende a gettare via il mazzo rovinato o incompleto e a comprarne un altro.
C'è anche da dire che la conservazione delle carte da gioco è resa difficile da umidità, fragilità del materiale, parassiti che si divertono a mangiarsele, luce che le deteriora, difficoltà nel togliere macchie e sporco e così via. Per fortuna dei collezionisti però alcuni mazzi antichi sono giunti fino a noi. Si tratta dei mazzi più preziosi, quasi sempre dipinti a mano, che sono stati serbati con cura dai loro proprietari e oggi si trovano nei musei. Altri mazzi, di produzione più artigianale, si sono conservati solo perché dimenticati in qualche cassetto e altri ancora sono stati ricuperati dai restauratori nelle copertine di antichi volumi. Sono fogli interi, da cui le carte non erano ancora state ritagliate, che erano rimasti invenduti. I nostri antenati, meno spreconi di noi, li riutilizzavano nelle rilegature dei libri.

Per cominciare la storia delle carte da gioco in Europa dobbiamo dire che non sono citate in un decreto contro i giochi edito da Carlo V re di Francia nel 1369, mentre ne fa menzione una successiva revisione datata 13779.

Né Petrarca (morto nel 1374) né Boccaccio (defunto l'anno successivo), nonostante il notevole interesse per i giochi da loro dimostrato, parlano di questo passatempo nelle loro opere. Il primo riferimento che può far pensare alle carte da gioco10 si trova nel Diccionari de rims, scritto nel 1371 dal poeta catalano Jaume March, che riporta il termine naips, una forma arcaica del termine nàipes con cui sono ancora oggi chiamate le carte da gioco in Spagna.

La prima breve descrizione delle stesse la troviamo nel Tractatus de moribus et disciplina humanæ conversationis, id est ludus cartularum scritto a Basilea nel 1377 da un monaco domenicano, Johannes da Rheinfelden. Il manoscritto originale non è stato ritrovato, ma una copia del 1429 è conservata presso l'Universitätsbibliotek di Basilea, mentre una copia successiva del 1472, è al British Museum di Londra. In questo trattato il mazzo descritto è simile a quello odierno, con quattro diversi semi (l'autore non li ha descritti), ognuno composto da 10 carte numerali e tre figure: un re, seduto sul trono, e due marschalli; quello di grado più alto tiene sollevato il seme, l'altro lo tiene in basso11.

Sono le posizioni del seme che si trovano ancora oggi nelle figure minori dei mazzi a semi tedeschi e svizzeri. Nel trattato si fa riferimento a diversi modi di giocare a carte, alcuni sono descritti nel testo, e alle differenti raffigurazioni sulle carte, il che ci fa presumere che questo gioco fosse ormai abbastanza diffuso, essendo le carte già diversificate nei disegni e nei modi di utilizzarle. L'autore però dichiara nel testo, il cui originale dovrebbe essere di poco posteriore all'introduzione delle carte in Europa, la sua ignoranza sull'inventore del gioco e sulla data dell'introduzione in Svizzera di questo passatempo.

Baraja de Vich Le carte da gioco europee più antiche pervenuteci sono, ad oggi, due fogli non tagliati conservati all'Instituto Municipal de Historia a Barcelona. Il mazzo, noto come "baraja de Vich", è stampato da matrici in legno come tutti i mazzi dell'epoca e datato dagli esperti a cavallo tra il XIV e il XV secolo12.

Come si usava allora, fogli invenduti di queste carte furono riciclati nella rilegatura di un incunabolo El libre de los dones del 1495 e così sono giunti fino a noi.

I disegni presentano, sull'asso di spade e di bastoni, due figure animali che potrebbero essere leoni rampanti. Questi animali sono simili ai galli o grifoni presenti ancora oggi nelle carte Trevisane e Triestine.

Le carte da gioco sono citate in diversi scritti, datati 1377 in Italia, Spagna, Svizzera e Francia, 1378 in Germania13 e 1379 in Belgio14 15. Quasi tutti questi documenti sono proibizioni al loro uso.

I primi documenti italiani di cui si è a conoscenza sono la deliberazione della Provvigione fiorentina del 23 maggio 1376 (secondo il calendario fiorentino, ovvero marzo 1377 per il calendario corrente16) che riporta "quidam ludus, qui vocatur naibbe in istis partibus noviter inolevit" (questo gioco, che chiamano naibbe, introdotto da poco in queste zone)17 18 o l'ordinanza senese del 1377, una proibizione al loro uso che dice "ludens ad naibos puniatur" (sarà punito chi gioca a naibi)19 18.

Il documento belga, datato Bruxelles 14 maggio 1379, è del tesoriere del duca Venceslao di Lussemburgo che afferma di aver fornito denaro per l'acquisto per conto del suo signore di un mazzo di carte.

Il 26 ottobre 1380 a Barcellona il mercante Nicolas Sarmona nel suo inventario cita "unum ludus de nayps qui sunt quadraginta quatuor pecie" (un gioco di carte che sono 44 pezzi). Uno strano numero di carte, che non si riscontra in nessun altro mazzo conosciuto. Forse un mazzo con 7 numerali, come in numerosi mazzi italiani e spagnoli, e 4 figure per seme. Di un mazzo da 56 carte, con quattro figure per seme, abbiamo già detto parlando di Bernardino da Siena e del suo sermone. La produzione di carte era diventata talmente diffusa che l'11 ottobre 1441 il provveditore del comune di Venezia emetteva un'ordinanza che vietava l'importazione di carte da gioco, visto che la troppa concorrenza straniera era riuscita a mettere in difficoltà i fabbricanti di carte della città20.

Le carte hanno sempre scatenato, sin dai primi anni della loro introduzione, una reazione del clero e dei governi i quali ne proibirono severamente l'utilizzo, con la scusa che il gioco scatenava risse tra i giocatori e portava i più scalmanati alla rovina finanziaria, due problemi questi che sembrano non risolti neppure oggi. In un dipinto di Bruegel Bruegel, La rissa dei contadini × conservato al museo Puskin di Mosca, si vedono carte da gioco sparse per terra che fanno chiaramente capire cosa ha scatenato la rissa.

Le liti sembrano strettamente legate al gioco delle carte tanto che il termine spagnolo baraja che oggi indica il mazzo di carte, anticamente significava rissa, baruffa. Nel corso dei secoli le carte da gioco furono accusate di provocare liti, bestemmie, omicidi, miseria nelle famiglie i cui uomini spendevano tutto al tavolo da gioco e di far dimenticare ai capifamiglia i doveri religiosi, facendoli andare all'osteria a giocare a carte e a litigare invece che in chiesa a pregare. Dura la scelta, nell'unico giorno libero dal lavoro, tra il sorbirsi noiosi sermoni e preghiere in latino di cui non si capiva una parola o passare qualche ora a divertirsi in compagnia degli amici, dimenticando per un po' i crucci di quella vita certo non facile. Abbiamo trovato una stampa21 sull'argomento, diffusa da un cantastorie alla fine del XIX secolo, che mostra come il destino di un giocatore, secondo la morale dell'epoca, fosse la rovina completa "... ecco, o lettori amabili, la fin del giocatore!" Vita del giuocatore × .

Ma nonostante gli anatemi e proibizioni che le hanno colpite, le carte da gioco non sono scomparse e ancora oggi resistono, magari solo in forma virtuale come nei videopoker. Sono probabilmente lo svago più conosciuto e diffuso al mondo.

Le proibizioni di questo passatempo sembrano sparite quando è stato inventato il bollo, che appare già in un documento del 1405 a Bologna in cui il cardinale Baldassarre Cossa sottopose a dazio le carte da zugare e i naibi22. Evidentemente l'idea di rimpolpare le finanze statali faceva passare in secondo piano i pericoli derivanti da questo vizio oppure il deterrente del bollo sembrava essere uno strumento efficace nel limitare l'uso di questo strumento demoniaco.

La diffusione così rapida delle carte da gioco, che le portò in pochissimi anni ad essere conosciute in buona parte dell'Europa, e l'uso subito così allargato, tale da scatenare immediatamente le varie proibizioni, fanno presumere che non siano state inventate allora, ma che fossero già ben radicate altrove. È difficile pensare che un passatempo nuovo in assoluto possa avere una diffusione e una diversificazione nei disegni dei mazzi e nei modi di giocare così fulminea. È più probabile l'ipotesi che l'uso delle carte e le regole dei giochi fossero già ben conosciuti in altre terre e che gli europei, almeno all'inizio, non abbiano dovuto inventare niente. È facile immaginare i primi giocatori che portarono le carte in Europa: avranno dato vita ad animate partite, probabilmente in qualche taverna. Gli spettatori, incuriositi dalla novità, si saranno prima limitati ad osservare i nuovi giochi e poco per volta li avranno imparati, diffondendoli a loro volta. I fabbricanti, visto l'aprirsi di un nuovo mercato, le avranno copiate e adattate nei disegni, secondo la loro fantasia e l'iconografia del paese in cui venivano utilizzate. Questo gruppo di persone riunita per un gioco che solo loro ben conoscono fa pensare ad un gruppo di marinai che si ritrovano in qualche osteria, divertendosi con un passatempo appreso in terre lontane (a suffragare un'ipotesi veneziana) oppure a persone che in terra straniera si divertono con gli svaghi tipici della loro patria (se questo fosse successo in Spagna, durante la dominazione saracena).

Le carte potrebbero infatti essere state importate dai mercanti veneziani, sempre in giro per il mondo allora conosciuto a cercare merci da commerciare e in contatto con i paesi medio orientali dai quali compravano sete e spezie per tutta l'Europa. Oppure furono portate in Spagna dagli arabi occupanti quella nazione, definitivamente cacciati solo nel 1492. In effetti l'occupazione moresca in Spagna era in quel periodo ridotta al solo regno di Granada, l'estremo sud della penisola iberica. In precedenza però buona parte della Spagna era governata dai mori fino a quando, a metà del XIII secolo, i re spagnoli erano riusciti a cacciarli quasi completamente. L'occupazione, durata alcuni secoli, aveva fatto sì che numerosi arabi risiedessero nelle terre ora sotto il dominio dei re cristiani. Essi furono posti di fronte all'alternativa di convertirsi al cristianesimo o di emigrare; molti scelsero la conversione, almeno in apparenza, senza però abbandonare la propria lingua e i propri costumi. Erano chiamati moriscos e continuarono a vivere in Spagna e a esercitare le loro attività, anche se furono confinati nei ghetti e forse furono proprio loro a diffondere le carte da gioco nella penisola iberica.

Per non creare attriti tra le due nazioni, già in contesa sulla nazionalità di Cristoforo Colombo o Cristobal Colón cha sia, possiamo ipotizzare che le carte siano arrivate, contemporaneamente o quasi, sia a Venezia che nella penisola iberica e da lì abbiano iniziato il loro viaggio attraverso l'Europa.

Fra i Mamelucchi, milizie turche e circasse di schiavi (mamluk in arabo significa schiavo) convertiti all'Islam che divennero potentissimi in Egitto, le carte da gioco erano sicuramente conosciute verso il 1400. Sono menzionate negli Annali di Ibn Taghri-Birdi e chiamate Kanjifah, un nome che appare su una delle carte conservate a Istanbul ed è molto simile a quello con cui vennero chiamate in Persia nel XVI secolo (Ganjifeh, Ganjafeh o Gangafe 23), in Georgia (un dizionario del 1712 riporta Gandjapa come un tipo di carte da gioco24), in Turchia (dove nel 1806 è citato un gioco detto Gungafa25 26) e ancora oggi in India (Ganjifa, Ganjifah o Ganjappa). Non è nota l'etimologia di questi termini, evidentemente derivati da una radice comune che forse ci potrebbe fornire utili elementi per capire da dove provengono le carte da gioco.

Sono noti frammenti di carte risalenti al XIII secolo di probabile origine egiziana del periodo del sultanato Ayyûbid che governò dal 1173 al 1250 l'Africa nord orientale. A questa dinastia successe quella dei Mamelucchi cui si fanno risalire le carte databili al XV secolo e dipinte a mano, conservate al museo Topkapi Sarayi di Istanbul. Furono scoperte da L. A. Mayer nel 1939 e il mazzo è noto come mazzo dei Mamelucchi o Muluk Wanuwâb o wa-Nuwwâb (re e loro delegati)27 Mazzo dei Mamelucchi × .

Hanno semi di denari (darâhim), coppe (tumân), mazze da polo (jawkân) e spade (suyuf) e lo sfondo decorato a motivi floreali. Furono stampate probabilmente in Egitto e le loro dimensioni sono abbastanza insolite (95x25 mm). Non sono di un unico mazzo, ma appartengono a tre mazzi diversi, talmente simili tra di loro da far pensare a un disegno già standard. I mazzi non hanno figure perché probabilmente il disegnatore, attenendosi strettamente ai principi coranici, evitava di raffigurare la persona umana.

Al posto delle figure ci sono carte numerali che riportano, oltre al nome del seme, anche il nome della figura: malik (re), nā'ib malik (delegato del sultano) e thānī nā'ib (secondo delegato del sultano)28.

Il fatto che ci sia un nome lascia supporre che in origine le figure fossero presenti nel mazzo. È come se, in un mazzo di carte internazionale, su una carta ci fosse la scritta "Re di picche" e un disegno con 13 semi di picche: ci verrebbe immediatamente il sospetto che in precedenza su quella carta ci fosse stata la figura di un re. Una riproduzione delle carte di questo mazzo sono in internet nel sito di Tor Gjerde http://old.no. Questo mazzo dei Mamelucchi è spesso citato come antenato dei mazzi a semi latini ma, come scritto in un interessante articolo di John Berry sull'argomento29, non dobbiamo dimenticare che non sappiamo come fossero le sue figure e che quello conservato a Istanbul è posteriore all'avvento delle carte in Europa. Di questo mazzo possiamo affermare solo che è un antico disegno medio orientale e che i suoi semi sono molto simili a quelli italiani. Tornando alla storia, nel loro periodo asiatico le figure erano solo due, come nei mazzi indiani contemporanei. Probabilmente i Mamelucchi ne aggiunsero una terza, come si vede nel mazzo conservato a Istanbul, e tre figure sono presenti nei mazzi occidentali che usiamo oggi.

Lo scambio tra le culture europea e medio orientale è provato dal rinvenimento in Egitto di carte da gioco italiane del XV e XVI secolo e dal costante riferimento ai saraceni nei primi documenti europei sulle carte da gioco. Nelle "Cronache di Viterbo", tre opere quattrocentesche che fanno riferimento a una precedente cronaca trecentesca andata perduta, è riportato: "Anno 1379. Fu recato in Viterbo el gioco delle carte, che venne da Sarasinia e chiamasi tra loro Naib"30 e "Nel 1379 fu recato in Viterbo il gioco delle carte, da un saracino chiamato Hayl"31 e "Fu recato in Viterbo il gioco delle carte, che in saracino parlare si chiama nayb"32. Come si vede il termine con cui erano anticamente chiamate è molto simile al nome delle due figure inferiori nel mazzo conservato ad Istanbul. Nell'unica lingua che abbia un nome specifico per le carte da gioco, lo spagnolo, esse ancora oggi sono chiamate náipes.

Un altro riferimento a carte di origine moresca è data dall'inventario, nel 1408, dei beni di Luigi di Valois, in cui si afferma che il duca di Orleans possiede ung jeu de quartes sarrasines e unes quartes de Lombardie (un gioco di carte saracene e uno di carte di Lombardia), probabilmente portato, quest'ultimo, dalla moglie Valentina Visconti sposata nel 138933. Anche nel 1414 due distinti inventari a Barcellona parlano di joch de nayps moreschs (gioco di carte moresco).

Riepilogando, l'ipotesi che pare più probabile è che le carte da gioco siano nate in Cina e da qui, attraversando l'India e la Persia siano giunte in Turchia e nei paesi arabi, portate dai Mongoli, che dal XIII secolo sotto la guida di Gengis Khan dominarono buona parte dell'Asia e anche parte dell'Europa orientale, o tramite i Selgiuchidi34, una dinastia di origine turca che dominò parte dell'Asia dall'XI secolo, finché furono sgominati proprio dai Mongoli verso la metà del XIII secolo. Poi furono portate in Spagna dalle truppe occupanti durante l'invasione moresca oppure importate dai mercanti veneziani, che avevano numerosi scambi con le regioni medio orientali per commerciare spezie e seta. Così, con un viaggio simile a quello degli scacchi, importati dalla Persia dai crociati, le carte da gioco si diffusero in Europa, diventando in brevissimo tempo di uso comune in quasi tutte le nazioni europee.

Il disegno dei semi suggerirebbe che l'ipotesi veneziana sia la più probabile, data la somiglianza con quelli delle carte conservate a Istanbul, con la differenza dei bastoni da polo, sport che presumo sconosciuto nell'Europa dell'epoca, diventati in Italia scettri o bastoni da cerimonia. Semi italianiSemi spagnoli Pur raffigurando anche loro denari, coppe, spade e bastoni, i semi spagnoli (seconda immagine) sono decisamente diversi come disegno. Soprattutto i semi lunghi, spade e bastoni, si differenziano dai semi italiani (prima immagine) e sono meglio interpretabili. I semi italiani sono di disegno abbastanza inconsueto ed è piuttosto difficile capire quante spade o bastoni sono raffigurati su un 9 o un 10 se non si è abituati ad usare questi mazzi. Nei semi spagnoli invece il numero di oggetti raffigurati è più comprensibile, poiché i semi non si intersecano. Pensiamo perciò che quest'ultimo disegno sia posteriore, fatto per migliorare la comprensione e semplificare l'incisione della matrice.

Un misterioso mazzo risalente al XV secolo Elaborazione grafica da Baraja A la morisca, Italia sec. XIV (40/52), edizioni Del Prado 2005 × , ritrovato a Siviglia e conservato nella collezione Fournier n. 2 Italia, presenta caratteristiche particolari nei semi che sono spade diritte ma intrecciate tra di loro come nei semi portoghesi, bastoni da polo simili a quelli del mazzo conservato in Turchia, denari che però potrebbero essere anche campanelli come nei semi tedeschi e coppe tonde, che potrebbero anche essere ghiande. Sylvia Mann35 non sa se attribuire il mazzo a Italia, Spagna o alla regione dell'alto Reno. Le figure sono re, cavallo e fante per cui i semi dovrebbero essere latini. Questo è forse l'unico mazzo europeo conosciuto con i bastoni da polo come seme. Sylvia Mann ne cita un altro mazzo nel Deutsche Spielkarten-Museum36. È l'invenzione artistica di qualche mastro cartaio europeo o il ricordo di antiche origini medio orientali?

Nel corso dei secoli ogni popolazione adattò le carte che adoperava ai propri usi e costumi, variando i semi e le figure. È molto probabile comunque che tutti i mazzi europei, che appaiono adesso così diversi dopo sei secoli di evoluzione nei disegni, abbiano un comune antenato, di cui attualmente non sappiamo nulla.

Forse ulteriori scoperte apriranno nuovi orizzonti alle ricerche e il rinvenimento di un antico mazzo o di documenti sconosciuti farà rivedere tutte le ipotesi fin qui enunciate, ma il materiale finora noto fa ritenere l'ipotesi sopra formulata come la più probabile.

Un articolo dedicato alle più antiche carte da gioco ritrovate è pubblicato sul giornale dell'IPCS37 e sul sito web The World of Playing Cards www.wopc.co.uk. Nello stesso sito c'è una pagina dedicata ai primi riferimenti alle carte da gioco.

Ipotesi non suffragate dai fatti

Si leggono su alcuni testi teorie diverse su chi ha introdotto in Europa le carte da gioco. Ne citeremo alcune tra le più diffuse, tentando di confutarle visto che ci sembrano palesemente errate.

Le carte furono portate in Europa ...

... da Marco Polo reduce dal suo viaggio in Cina.

Marco Polo scrive di aver raggiunto la Cina nel 1275; tornò a Venezia nel 1295, morendo poi nel 1324. Visto che prima del 1370 circa le carte quasi sicuramente non erano conosciute in Europa, mancano troppi anni in cui non si capisce che fine abbiano fatto nel frattempo le carte da gioco da lui importate.

... dai Crociati di ritorno dalla Terra Santa.

L'obiezione è la stessa, le Crociate iniziarono nel 1095 e terminarono con la caduta di Acri nel 1291; anche in questo caso le date non coincidono con quelle citate in precedenza. In effetti l'ultima crociata fu bandita da Leone X nel 1518, ma già la 7°, iniziata nel 1270, aveva come obiettivo non più l'Egitto, Siria o Palestina, ma la città di Tunisi, sotto le cui mura si concluse, con la morte di Luigi IX di Francia.

... dagli zingari.

Anche in questo caso le date non quadrano, seppure per la ragione opposta: i primi zingari, provenienti dall'India nord-occidentale, giunsero in Italia e Spagna mezzo secolo dopo la comparsa delle carte da gioco in queste nazioni. Anche se permangono dubbi sulla data precisa, in quanto è possibile che i documenti ufficiali non abbiano immediatamente registrato l'arrivo di queste popolazioni nomadi, la prima apparizione dei rom in Europa occidentale risulta in un documento del 1417, nel quale si parla dell'arrivo dei "Tartari dell'Egitto" nella città di Hildesheim, ai quali fu fatta elemosina "in onore di Dio". Le prime cronache italiane che ci raccontano la presenza dei rom provengono da Forlì e da Bologna, entrambe riferite al 142238. Non esistono prove per suffragare l'ipotesi degli zingari come tramite all'importazione in Europa delle carte da gioco, salvo la credenza dei numerosi cultori dell'esoterismo che vuole accreditare a queste popolazioni l'invenzione o almeno l'importazione delle carte da gioco, soprattutto per un uso cartomantico. L'uso divinatorio è notevolmente posteriore alla data presunta dell'introduzione delle carte per giocare. Inoltre, negli atti dei vari processi dell'Inquisizione, quando si citano zingari condannati per aver praticato la divinazione, non si fa mai cenno ad un uso da parte loro di carte da gioco. Eppure i resoconti di questi tribunali di solito sono molto precisi e dettagliati.

... dalla Persia, dove erano conosciute come As Nas.

I primi mazzi As Nas conosciuti sono del XVII secolo, e comunque la loro composizione è troppo diversa da quella dei mazzi europei perché possano essere accettate come antenate delle carte che conosciamo.

In mancanza di congetture più verosimili dobbiamo accettare l'ipotesi espressa in precedenza come la più realistica, in attesa di future smentite, suffragate però da documenti e dalla storia.



  1. William Andrew Chatto, Facts and Speculations on the Origin and History of Playing Cards, 1848, pag. 91 ↩︎

  2. Tarot, History, sito web Wikipedia en.wikipedia.org/wiki/Tarot#History ↩︎

  3. "Early references to playing cards" sul sito web The World of Playing Cards www.wopc.co.uk: "Bologna era una città dove il gioco d’azzardo agli inizi del XV secolo era molto diffuso e san Bernardino cercò di persuadere i giocatori a bruciare le loro carte. Nel 1423 predicò nella chiesa di san Petronio contro i vizi del gioco d’azzardo in generale e delle carte da gioco in particolare. In questo sermone parla di un mazzo da 56 carte e cita le donne ma non gli onori, che probabilmente non esistevano ancora. La storia narra che, quando gli ascoltatori gettarono le carte nel fuoco, un fabbricante di carte era presente e ascoltava le accuse del frate rivolte anche contro chi forniva il peccaminoso articolo. Egli disse "Io non ho imparato, padre, altri mestieri che quello di dipingere carte da gioco e se mi togliete quello mi togliete la vita e togliete alla mia famiglia i mezzi di sussistenza. Il santo gli rispose "Se non sa cosa dipingere dipinga questa figura e non avrà mai alcun motivo per pentirsi di questo" e mostrò al fabbricante un sole raggiato con al centro il monogramma I H S." (trad. Virgilio Ferrari) ↩︎

  4. Salvatore Spoto, Le carte da gioco italiane, pag. 82 ↩︎

  5. William Andrew Chatto, Facts and Speculations on the Origin and History of Playing Cards, 1848, pag. 131 ↩︎

  6. Catherine Perry Hargrave, A history of playing cards, pag. 7 ↩︎

  7. IPCS Journal, vol. 31-5, pag. 234 ↩︎

  8. William Henry Wilkinson, Chinese Origin of Playing Cards, The American Anthropologist VIII, pag. 61–78, 1895 ↩︎

  9. Playing card, Spread across Europe and early design changes, sito web Wikipedia en.wikipedia.org/wiki/Playing_card#Spread_across_Europe_and_early_design_changes ↩︎

  10. Michael Dummett, Il mondo e l'angelo, pag. 23 ↩︎

  11. Roger Tilley, Playing cards, pag. 20 ↩︎

  12. Juan de Dios Agudo Ruiz, Los naipes en España, pag. 46 ↩︎

  13. George Beal, Playing cards and their story, pag. 29 ↩︎

  14. Roger Tilley, Playing cards, pag. 54 ↩︎

  15. Roger Tilley, The Turnhout playing card industry, pag. 4 ↩︎

  16. Sylvia Mann, All cards on the table, pag. 18 ↩︎

  17. Salvatore Spoto, Le carte da gioco italiane, pag. 64 ↩︎

  18. Antiche carte italiane da tarocchi, note introduttive ↩︎ ↩︎

  19. Detlef Hoffman, Die Welt der Spielkarten, pag. 12 ↩︎

  20. "Early references to playing cards" sul sito web The World of Playing Cards www.wopc.co.uk: "Nel 1441 incisori di matrici e fabbricanti di carte da gioco, in una richiesta al consiglio della città di Venezia, chiesero protezione contro le importazioni dall'estero affermando che la concorrenza straniera aveva rovinato i loro commerci. In seguito a questo si adottarono provvedimenti per regolamentare l'importazione di ogni tipo di stampa, incluse stampe su stoffe e carte da gioco, minacciando oltre alle multe anche il sequestro del materiale. Queste ordinanze sembra fossero rivolte soprattutto verso i fabbricanti di carte tedeschi. 11 ottobre 1441 - L'arte e le conoscenze per fabbricare carte da gioco e figure a stampa, così diffuse a Venezia, sono precipitati in totale decadenza in conseguenza della grande quantità di carte da gioco e figure stampate e colorate prodotte fuori dalla città. È pertanto necessario prendere provvedimenti perché si incoraggino gli artisti locali piuttosto che quelli stranieri. Pertanto è ordinato e stabilito che, secondo quanto chiesto da detti mastri, a partire da oggi nessun lavoro a stampa, sia su carta che su tessuto, lavori per gli altari, immagini e carte da gioco e qualsiasi altro lavoro fatto con il pennello e stampato può essere introdotto o importato in questa città, sotto pena di confisca dell'opera e multa di lire 30 e soldi 22. Di detta multa un terzo andrà allo stato, un terzo ai signori Giustizieri Vecchi, ai quali è affidata l'esecuzione della ordinanza, e un terzo all'accusatore. Gli artisti che in questa città esercitano la suddetta arte non possono esporre i suddetti lavori per la vendita in altri luoghi che non siano i loro negozi, eccettuato il mercoledì a san Polo e il sabato a san Marco; in caso contrario saranno sottoposti alle stesse pene. Seguono le sottoscrizioni dei Provveditori del Comune e dei Giustizieri Vecchi. Tutto questo dimostra che la fabbricazione e la vendita di carte da gioco era molto florida prima di questa data, visto che si parla che gli affari in questo settore sono "precipitati in totale decadenza". Esistono notizie dell'esistenza di carte da gioco a Venezia e in Italia dal 1379." (trad. Virgilio Ferrari) ↩︎

  21. Alfredo Castelli, Viaggio curioso nel mondo delle carte ↩︎

  22. Accademia del tre, Giochi di carte del '400. ↩︎

  23. Heinrich F. J. Junker, Persisch-Deutsches Wörtenbuch, 1965 ↩︎

  24. IPCS Newsletter n. 73, pag. 40 ↩︎

  25. Michael Dummett, Il mondo e l'angelo, pag. 26 ↩︎

  26. IPCS Journal, n. 30-2, pag. 51 ↩︎

  27. Stuart R. Kaplan, The encyclopedia of the Tarot, vol. I, pag. 56 ↩︎

  28. Sylvia Mann, All cards on the table, pag. 16 ↩︎

  29. IPCS Journal, n. 30-3, pag. 139 ↩︎

  30. Giovanni di Juzzo di Covelluzzo, Cronaca del 1480 ↩︎

  31. Nicolò della Tuccia, Cronaca del XV secolo ↩︎

  32. Frate Francesco d'Andrea da Viterbo, Cronaca ↩︎

  33. "Early references to playing cards" sul sito web The World of Playing Cards www.wopc.co.uk ↩︎

  34. IPCS Journal, n. 31-1, pag. 41 ↩︎

  35. Sylvia Mann, All cards on the table, pag. 19 ↩︎

  36. Sylvia Mann, All cards on the table, pag. 15 ↩︎

  37. IPCS Journal, n. 15-4 ↩︎

  38. Storia dei popoli romaní, sito web Wikipedia it.wikipedia.org/wiki/Storia_dei_popoli_roman%C3%AD ↩︎